Come complicarsi la vita… con il dolore

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Quando si parla di dolore e di tristezza, di solito viene usata la parola “depressione”, soprattutto se dolore e tristezza si protraggono per molto tempo compromettendo la vita quotidiana di una persona, il suo lavoro, le sue relazioni, il suo benessere generale.

Qui vorrei parlare della tristezza e del dolore senza scomodare delicate questioni legate alle diagnosi psicologiche, e quindi senza parlare di depressione.

Tutti abbiamo provato dolore e tristezza per un lutto o una perdita, per una delusione, per una condizione di svantaggio, per delle cose andate male… La cosa è forse ancora peggiore quando, a soffrire, è qualcuno a cui vogliamo tanto bene.

Più o meno da quando esistono la scrittura e l’arte, sono stati prodotti migliaia di poemi, libri, poesie, canzoni, che parlano della tristezza, e di quello che succede all’essere umano quando è investito dal dolore. Il succo del discorso lo ha espresso bene De Montaigne in uno dei suoi tanti, inestimabili doni di saggezza:

Chi sradicasse la conoscenza del dolore estirperebbe anche la conoscenza del piacere e in fin dei conti annienterebbe l’uomo.
(Michel De Montaigne)

Il dolore e la sofferenza fanno parte del nostro essere umani. Sono il rovescio della medaglia, il prezzo da pagare alla nostra condizione di esseri pensanti, all’aver coscienza di noi stessi.

Siamo gli unici animali terrestri ad avere ricordo e coscienza del passato, con i suoi rimorsi e i suoi rimpianti; e del futuro, con le sue pressioni, i suoi vincoli, le sue sfide.

E l’ansia.

Le facoltà che ci hanno permesso di cambiare la storia del nostro pianeta (a volte rovinandolo) come il linguaggio, il pensiero astratto e simbolico, la capacità di comprendere e costruire narrazioni, sono le stesse che ci mettono nelle condizioni di soffrire, quando le cose non vanno come avremo voluto.

Fra i tanti modi in cui le persone tentano di cavarsela quando stanno soffrendo, ce ne sono alcune che gli studiosi e gli esperti del mio settore hanno osservato essere le più diffuse. La particolarità di questi tentativi, se gestiti male dalle persone, è la loro forte tendenza ad essere disfunzionali: non aiutano, al contrario aumentano il disagio psicologico, con la probabilità (molto alta) di finire per creare un vero e proprio problema, a quel punto difficilmente risolvibile in modo autonomo.

Ecco come complicarsi la vita se siamo in un momento di sofferenza:

#1 rallentare fino a fermarsi: è forse l’espressione più conosciuta del dolore psicologico ed esistenziale. Non si investe più in niente, perchè niente sembra avere senso. Neanche quelle cose considerate superflue, banali, gli hobby e le piccole cose che facciamo per prenderci cura di noi stessi o del nostro tempo: il calcetto, il parrucchiere, uscire con gli amici, la passeggiata, gli svaghi. A volte mancano le energie, a volte crediamo di non meritare leggerezza e svago. E ci facciamo ancora più male.

#2 accelerare fino a perdere il controllo:  dato che non va bene pensare, altrimenti soffriamo, allora ci teniamo occupati. Sempre, in ogni momento. Non lasciamo spazio a momenti di stasi, i tempi morti diventano il nostro peggior nemico, perchè stare fermi può farci ricordare, può farci pensare. Ma quanto si può durare con l’iper-lavoro, o con impegni frenetici incastrati e densi a tal punto da farci perdere la cognizione del tempo? E’ una soluzione che può durare quanto, prima di sfibrarci e ripresentarci il conto di una storia che non abbiamo voluto comprendere e raccontarci per paura di soffrire?

#3 parlarne per sfogarsi: sempre, con chiunque, in ogni occasione. E se parlandone poco non mi passa, allora ne parlo di più. Peccato che non siamo pentole a pressione, e a volte “sfogare” diventa alcol sulla ferita, ma se l’alcol disinfetta, con lo “sfogo” non funziona così. Più ne parliamo, più restiamo dentro alla storia della nostra sofferenza, alle sue emozioni, ai suoi copioni, senza trovare storie alternative. Continueremo a raccontarci che soffriamo e, di conseguenza, continueremo a soffrire.

#4 chiudersi nel silenzio, per dimenticare: appena accenniamo alla cosa soffriamo, e allora che sia bandito qualsiasi discorso. La speranza è quella di dimenticare, ma diventa vana nel momento in cui, incapaci di domare il fuoco del ricordo, ci scottiamo ogni volta che ce lo troviamo davanti. Vorremmo ritornare subito ad una situazione senza sofferenza, senza passarci in mezzo, evitando qualsiasi contatto con tutto quello che la rievoca, ma più scappiamo, più ci sentiamo braccati.

Il lettore attento avrà notato che le modalità descritte possono diventare disfunzionali nel momento in cui sono estremizzate dalle persone: è il loro utilizzo esclusivo e protratto nel tempo che può renderle dannose per il benessere psicologico.

Chi soffre può avere dei momenti in cui si sente giù, o in cui ha bisogno di tenersi occupato; può sentire il bisogno di parlare con qualcuno, o di non parlare per niente. Non ci sono problemi in queste azioni, i problemi possono sorgere nel momenti in cui una di queste modalità diventa “la sola e unica”, ripetuta e forzata anche se non da beneficio.

Per alcune sofferenze non ci sono soluzioni, se per soluzione si intende il raggiungimento di una condizione “senza” sofferenza, che non ha niente di umano. E’ possibile trovare dei modi per accettare il dolore, e renderlo un compagno di viaggio… che a volte può fare rumore, oppure stare in silenzio, rendendoci il percorso un po’ più godibile.

I Grandi, che incorniciano pensieri che credevamo solo nostri prima di sentirli nelle loro parole, lo hanno scritto in tanti modi e tante lingue: attraverso la sofferenza si cresce, attraverso le crisi, si cambia.

Noi dobbiamo abbracciare il dolore e bruciarlo come combustibile per il nostro viaggio.
(Kenji Miyazawa)

Sinché un uomo gode della vita, nulla deve disperare: può ad un tratto passare dal più profondo dolore alla massima gioia; dalla massima disgrazia alla più alta felicità.
(Confucio)

Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.
(Khalil Gibran)

Buon viaggio a tutti

Dott. Daniele Boscaro

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