Siamo davvero “fatti così”?

emozioni

Molte volte è dato per scontato che le emozioni che proviamo siano solo nostre. Che siano eventi soggettivi, una dimensione intima e privata della nostra vita. Non privata nel senso che ce la teniamo per noi, ma nel senso che la proviamo perchè siamo noi, perchè siamo “fatti” in un certo modo.

C’è chi è timido, chi si arrabbia facilmente, chi si abbatte subito, chi invece è un po’ più tenace. Poi ci sono quelli permalosi, che non gli si può dir niente che la prendono subito sul personale.

Inutile negare che queste caratteristiche siano in parte state formate dalla biografia di una persona, dagli eventi e dal percorso della sua vita, e quindi da quello che possiamo chiamare il suo “carattere”, la sua “personalità”.

E’ invece molto utile familiarizzare con la prospettiva che può farci vedere il “carattere” e la “personalità” come dei concetti un po’ arroganti ed egocentrici: se gli diamo spazio, finisce che se lo prendono tutto. A un certo punto, gira tutto intorno a loro.

Molte volte le emozioni che proviamo, gli stili e i modi in cui vediamo e sentiamo le cose, non dipendono solo dalla nostra personalità, ma soprattutto da come viviamo gli eventi e fenomeni che affrontiamo tutti i giorni:

#1 situazioni e contesti: si sta meglio a lavoro o in ferie? Durante una cena in compagnia o a una riunione di condominio? Queste domande non hanno un’opzione giusta di per sè, ma possono aiutarci a fare delle distinzioni e a comprendere quanto le situazioni che viviamo possano influenzare il nostro stato d’animo, e indurci emozioni positive o negative.

#2 interazioni sociali: con alcune persone siamo degli agnellini, con altre diventiamo dei leoni. Alcune persone riescono a farci mostrare la nostra parte più dolce, altre hanno il potere di scatenare la nostra rabbia. Dire che le relazioni che abbiamo influenzano il nostro umore sembra banale, ma a volte, se lo teniamo presente, può sollevarci dalla responsabilità di essere “fatti in un certo modo”.

#3 gruppo di appartenenza: appartenere a un gruppo è qualcosa che richiede un’aderenza a regole e norme sociali esplicite e implicite. Gli esempi più potenti sono i micro-gruppi sociali caratterizzati da sub-culture come quelle giovanili, dove se non vesti o ti atteggi in determinate maniere vieni escluso.

Ci sono molti altri gruppi, più sfumati nei loro contorni e a cui non ci sembra di appartenere perchè la loro struttura non è esplicita: se faccio l’imprenditore, avrò acquisito un modo diverso di vedere il mondo rispetto a chi fa altri lavori. Se sono genitore, avrò affinato modi di sentire e vedere le cose che chi non ha figli difficilmente ha potuto conoscere. Se sono studente, avrò una prospettiva sul mondo diversa da un lavoratore.

Certo, ogni genitore è diverso dagli altri, siamo tutti diversi, ma le narrazioni sociali condivise ed i significati più diffusi sull'”essere genitore” influenzeranno il nostro modo di agire.

È molto rischioso pensare al carattere e alla personalità di una persona togliendo queste tre dimensioni dal campo di gioco. Il rischio è quello di pensarci già “fatti”. Quello di pensarsi con un carattere ben definito può essere un esercizio rassicurante (quante volte abbiamo detto a qualcuno “mi conosco bene io..”, “ah, sono fatto così…”) ma molte volte ci chiude dentro un cortocircuito di giudizi e pensieri negativi su noi stessi, da cui diventa difficile uscire.

Un esercizio forse meno rassicurante ma certamente più ricco di possiblità può essere quello di osservare come le situazioni, le relazioni e i gruppi sociali ai quali apparteniamo ci influenzano, che emozioni ci fanno sentire.

Potremmo scoprire che non siamo proprio “fatti e finiti”, ma che possiamo avere molte più sfumature e spigoli di quelli che pensavamo.

E a volte, se siamo bravetti, possiamo pure smussarne qualcuno.

DR Daniele Boscaro

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