La psicologia e le psicoterapie si occupano dei significati che le persone attribuiscono a quello che vivono. Di solito ci si rivolge ad uno psicoterapeuta quando questi significati cominciano a far soffrire, a diventare ingestibili.
Ma per entrare nel mondo dei significati delle persone che incontriamo nella nostra professione, non possiamo disporre della stessa mappa di cui dispone un neuroscienziato: come dicono Alessandro Salvini, Kenneth Gergen, Rom Harrè, e molti altri, attraverso il neuroimaging (la tecnologia che studia l’associazione degli stati mentali con le rispettive aree celebrali) possiamo sapere quali aree funzionali della corteccia vengono sollecitate nel momento in cui una persona batte una palpebra, ma non sappiamo nulla sugli impliciti culturali e relazionali che innescano un ammiccamento.
Il battito di una palbebra, a livello fisiologico, è sempre lo stesso, ma può rappresentare intesa (l’occhiolino ad un amico), seduzione (l’ammiccamento al partner desiderato), e moltre altre cose.
Per distinguere l’evento fisiologico – chiusura di una palpebra – dall‘evento sociale – ammiccamento – serve una distinzione epistemica, ossia un salto di conoscenza.
Esempi di salti epistemici: la musica e la comicità fra teoria ed esperienza
“L’idea che per capire la musica si debba per forza possedere un certo bagaglio culturale è una furbata, spesso è una scusa per pigri, o una medaglia acquisita sul campo per chi crede di essere fra quelli che la ‘capiscono’. Avere gli strumenti per godere della musica non significa conoscere né l’armonia né l’epoca in cui è stata scritta né il retroterra culturale del compositore, ma riconoscere qualcosa che abbiamo dentro e che risuona.” Stefano Bollani
#Musica ed esperienza musicale
Sappiamo tutti cosa si intende quando si parla di musica: dei suoni ben organizzati che ci fanno ‘vivere emozioni‘, che si ‘legano’ ai nostri ricordi e ci aiutano e rievocarli… può essere ascoltata distrattamente mentre si guida, o prendere un posto da protagonista nei momenti più magici ed emozionanti della nostra vita.
Ma questo senso comune riguarda solo una parte di quello che può essere detto e saputo sulla musica: non sono infatti considerati ad esempio gli aspetti relativi alla fisica acustica, che si occupa della propagazione delle onde sonore nell’atmosfera, oppure gli elementi di teoria musicale, come gli intervalli, la modulazione, le armonie, ecc…
Le note musicali infatti, viste dal punto di vista meramente fisico, non sono altro che vibrazioni di particolari materiali a determinate frequenze, che fin dall’alba dei tempi sono state riprodotte, studiate e organizzate in diversi canoni estetici, attraverso sistemazioni teoriche ampie e raffinate.
I fisici, i tecnici del suono o un professore di musica possono emozionarsi e vagare nei ricordi ascoltando un brano musicale, ma questo non dipende assolutamente dal fatto che conoscano la teoria della musica. L’esperienza precettiva e ideativa che avviene durante l’ascolto di un brano musicale genera stati d’animo indipendentemente dal fatto che si conoscano aspetti teorici, fisici e meccanici della musica: nell’esperienza di un brano musicale, e quindi entro quell’insieme complesso di interazioni fra fisica acustica, fisiologia e coscienza umana, non vi sono distinzioni fra livelli: il flusso dell’esperienza è un compatto percettivo che genera processi di tipo psicologico, emotivo e cognitivo. La distinzione fra un livello esperienziale – disponibile anche a chi non conosce approfonditamente la musica – e il livello acustico e tecnico, può essere colta se ci si muove sul piano conoscitivo, e non ontologico: sono due modi diversi di conoscere, e quindi costruire, l”oggetto musica’.
#Comicità ed esperienza comica
“Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare vuol dire che non è venuta bene.” Ansel Adams
Anche la comicità non è una cosa difficile da definire per il senso comune: ridere è un atto naturale come respirare o dormire, un’azione ‘spontanea’, la definirebbe Watzlawick, anche se dipendente da dimensioni socio-culturali implicite ed egemoni in una tradizione culturale – difficile è infatti ridere o raccontare una barzeletta a un funerale. Il testo comico è comunque un prodotto umano che è stato studiato a livello tecnico, e quindi conosciuto attraverso teorie linguistiche, comunicative e attoriali: ci sono regole che si possono imparare e replicare, arrivando a costruire sceneggiature umoristiche.
Pensiamo alle formula comica per eccellenza, la coppia di clown, nata nelle prime rappresentazioni circensi, dove uno ha il cosiddetto ruolo di pagliaccio ‘Bianco‘, e l’altro quello di ‘Augusto‘. Il primo interpreta un ruolo severo, preciso, pignolo, rigido, il secondo è il guastafeste, pasticcione, goffo, e sbadato: l’estremizzazione di queste caratteristiche e la loro complementarità genera situazioni comiche, e se ci facciamo venire in mente alcune coppie di comici – Troisi e Benigni, Totò e Peppino, Stanlio e Ollio, Lemmon e Matthau – possiamo renderci conto che questo schema è stato preso dal circo e portato al cinema e nei teatri per far ridere le persone costruendo scene bizzarre ed esilaranti.
Ma noi ridiamo anche senza saper niente di linguistica, o senza essere scrittori o sceneggiatori esperti; i processi socio-psicologici che scatenano la risata o che innescano i raffinati paradossi legati alla comunicazione ironica sono inconsapevoli. Ridiamo senza pensarci, e quando lo facciamo – diverso sarebbe imparare a far ridere intenzionalmente le persone – lo facciamo indipendentemente dalla conoscenza dei contenuti tecnici e teorici che sono stati impiegati: i due livelli si distinguono attraverso un atto di tipo conoscitivo, e serve quindi la capacità di saltare da un modello conoscitivo ad un altro per produrre la loro distinzione, che non percepiamo nell’esperienza e nella coscienza “qui ed ora” di noi stessi e del mondo.
In essa, teoria e pratica si fondono in un ‘flusso’ con livelli di consapevolezza – e quindi di controllo – discontinui e variabili. Anche in questo caso la distinzione fra i vari modi di configurare la realtà quindi un prodotto conoscitivo, e non una realtà ontologica.
In conclusione
Trattando di psicoterapia, può essere interessante chiedersi quali livelli – neurologico, morale, semantico, pragmatico – possono essere conoscitivamente distinti quando si parla di coscienza ed esperienza umane; ma soprattutto può essere utile domandarsi quali livelli offrano la possibilità di essere usati per produrre degli effetti – clinicamente postivi – in un piano di realtà concettuale e fenomenologico qual è quello relativo alla soggettività delle persone.
Per psicologi clinici e psicoterapeuti la sfida è quella di acquisire e integrare le scoperte scientifiche dovute all’utilizzo delle nuove tecnologie della neuropsicologia, ma senza perdere di vista:
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Il campo di pertinenza di queste professioni, che è soprattutto fenomenologico e riguarda quindi i significati che le persone attribuiscono agli eventi.
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L’obiettivo principale del lavoro terapeutico, cioè il cambiamento psicologico e l’acquisizione di modalità più adattive di affrontare la vita.
In questo particolare “campo da gioco” e con questo obiettivo, enfatizzare gli aspetti neuroanatomici del cervello non solo può non servire, ma può addirittura essere deleterio per il professionista, perchè rischia di irrigidire i suoi schemi conoscitivi, appiattendoli per adeguarli alla fredda realtà delle associazioni immagine/impulso, e favorendo inoltre la mitizzazione di questo filone di ricerca (neuromania l’ha chiamata qualcuno) che come ben sappiamo inizia ogni volta che si crede di aver trovato un accesso privilegiato e rivelatore al segreto dei segreti: il funzionamento della mente umana, dei suoi correlati emotivi, dei suoi desideri…
Per usare in modo pragmatico il dilemma quantitativo/qualitativo, proviamo a chiederci: riusciremmo a emozionare qualcuno spiegando i passaggi armonici di “Vesti la Giubba”, o sarebbe meglio fargliela ascoltare?
Riusciremmo a far ridere qualcuno attraverso l’analisi testuale di una barzelletta, o sarebbe meglio raccontargliela?
Concentrarsi su queste domande può essere un buon esercizio per diventare psicoterapeuti in grado di viaggiare su più livelli, operazione necessaria per raggiungere i nostri obiettivi terapeutici e far vivere esperienze di cambiamento adattivo alle persone che incontriamo.
DR Daniele Boscaro
BIBLIOGRAFIA
Bollani S. (2013) Parliamo di musica, Mondadori
Gergen K. (2011) Relational being: beyond self and community, New York: Oxford University Press
Harrè R. Gillet G. (1994) The discursive mind, Sage Pubblication
Salvini A. Bottini R. (2011) Il nostro inquilino segreto, Ponte alle grazie