Tempo fa mi è capitato di ricevere una telefonata da una donna, giovane, con la voce squillante. Mi dice che ha avuto il numero da un mio amico (cita il nome) e che vuole propormi un offerta.
Subito dopo mi chiede quando possiamo incontrarci.
Aspetta un attimo le dico, che cosa vuoi propormi? Lei con la sua voce squillante mi dice che non può parlarne adesso, dovrebbe spiegarmi, ma posso stare tranquillo, non vuole vendermi nulla, lei lavora come “consulente”. Capisco che è inutile insistere, mi incuriosisco, e dato che lei è disponibile a venire a casa mia, fissiamo un appuntamento.
Ovviamente appena metto giù con lei chiamo il mio amico, che mi dice che si è incontrato anche lui con questa persona: si occupa di consulenza finanziaria, in modo totale; fa parte cioè di quei gruppi che ti seguono in tutto: pensione, assicurazioni, mutui, banche, finanziamenti, ecc… Vabbeh, vediamo cosa (e come) proverà a vendere.
I contenuti dell’incontro potete immaginarli, non sono quelli che mi interessa trattare, volevo soffermarmi in questo racconto su alcuni passaggi processuali che a livello di comunicazione persuasiva possono interessare chi lavora con il cambiamento (di idee, stati d’animo, ecc…) o chi è incuriosito da alcune “tecniche” comunicative e vuole saperne di più, magari per difendersi un meglio quando capita dentro ad alcune situazioni con venditori professionisti, formati e in tenuta d’assalto, com’era la consulente che ho incontrato.
E’ stata un’esperienza interessante, perchè sia durante che dopo, il suo modo di gestire il processo comunicativo mi ha fatto sperimentare parecchie cose, che cerco di descrivere elencando le 4 principali mosse che ha fatto:
#1 Silenzi: quando finivo alcune risposte, lei stava zitta. I silenzi sono grimaldelli potentissimi, perchè catapultano la persona in una situazione conversativa non ordinaria, che crea disagio. Come si esce da questo disagio? Come si riempiono i buchi? Parlando, e quindi ti sbottoni, le dici cose (sulla tua situazione finanziaria, sulla tua famiglia) che se te le chiedesse non gliele diresti. E lei è a posto eticamente perchè quelle informazioni sensibili gliele hai date tu, senza che te le domandasse: la sua “buona educazione” è salva.
#2 Metafore: su qualsiasi cosa, si aiutava anche disegnando su un foglio che aveva davanti. Metaforizzava di continuo, e mi sembra banale trattare qui la potenza suggestiva del linguaggio metaforico. L’ho fatto in un altro articolo (lo trovi nell’indice della rivista, pp 07-19).
#3 Autopersuasioni indotte: difficilmente mi diceva cosa dovevo fare, ne orientava direttamente le mie decisioni. Non mi dava soluzioni, ma faceva in modo che io ci arrivassi da solo. Con domande a imbuto costruiva scenari in cui l’unica risposta, soluzione, indicazione che potevo “darmi” fosse però quella che conveniva a lei e al suo gruppo. Se siamo noi a darcele, sarà molto più difficile contraddirle perchè contraddiremmo noi stessi.
#4 Un bicchiere d’acqua: me lo ha chiesto alla fine del colloquio, ma proprio alla fine, quando io le avevo già detto che era troppo insistente (voleva strapparmi la conferma per un altro appuntamento, questa volta nei loro uffici) e le avevo già dichiarato il fatto che dovevo confrontarmi con qualcuno prima di aderire a qualsiasi offerta consulenziale. Quindi quasi sull’uscio lei mi chiede un bicchiere d’acqua. Niente di strano, possono pure essere solo mie paranoie, ma lo fa in modo teatrale, troppo. E quando lo beve mi ringrazia, ancora più teatralmente, dicendo che aveva proprio sete, e soprattutto che ero stato molto, molto gentile. Esce di casa, e io mi accorgo che mi sento bene ad aver concluso il nostro incontro in modo educato, informale, con una gentilezza. Ohibò, in fondo non mi ha detto delle stupidaggini, era un po’ insistente si, ma è il suo lavoro, forse merita fiducia… effetto recency: l’ultima frazione di una comunicazione o di una interazione lascia un vissuto, una serie di sensazioni – positive, in questo caso – che sono le prime a riemergere nel momento in cui rievoco il ricordo, ad esempio quando deciderò se richiamarla o quando parlerò del nostro incontro con mio padre per chiedergli consigli. Collegate voi i puntini.
Credo che l’incontro che ho avuto sia stato rappresentativo dei trucchi che questi professionisti usano per comunicare in modo persuasivo. E’ il loro lavoro, ma anch’io ho studiato psicologia.
DR Daniele Boscaro
BIBLIOGRAFIA
Cialdini, R., (1995) Le Armi Della Persuasione, Giunti, Milano
Piattelli Plamarini, M. (1995), L’arte Di Persuadere, Mondadori, Milano
Nardone, G., Salvini, A. (2004) Il Dialogo Strategico, Ponte Alle Grazie, Milano