Questo è un interessante scritto di K.J. Gergen, dedicato all’ambito educativo-pedagogico, molto importante per tutti gli psicologi che come me lavorano come consulenti anche nel settore della psicologia scolastica, con genitori, insegnanti e ragazzi.
L’articolo offre spunti illuminanti (con Gergen capita spesso) su un cambiamento di prospettiva che piano piano sta investendo le istituzioni educative.
Un cambiamento che si fonda su alcuni concetti cardine (la relazione, la conoscenza come “costruzione”, ecc…) con implicazioni significative a livello concreto: sulle modalità di gestione dei gruppi classe, dei programmi didattici, delle dinamiche familiari.
Buona lettura
Daniele Boscaro
Dalla Mente Alle Relazioni, la Sfida Emergente
Kenneth J. Gergen
LA SFIDA EDUCATIVA
La mia proposta è che la principale sfida del sistema educativo del nostro secolo sia quella di sostituire la tradizionale attenzione al singolo studente con investimenti finalizzati al processo di relazione. Che cosa significa questo sia dal punto di vista teorico che pratico? Prima di tutto consideriamo la nostra tradizionale opinione secondo cui il fine dell’istruzione è quello di impartire la conoscenza allo studente, migliorare la sua capacità di ragionamento e giudizio. Una buona istruzione, pensiamo, preparerà l’individuo a partecipare produttivamente alla società ed a contribuire come cittadino responsabile al processo democratico. Tali teorie sono d’altronde fortemente connesse alle nostre pratiche d’insegnamento. Rendiamo ogni singolo studente responsabile del proprio lavoro, registriamo i suoi progressi, valutiamo ed classifichiamole sue esecuzioni individuali; i punteggi di ogni singolo studente vengono disposti gerarchicamente con lo scopo di valorizzare i voti migliori e viceversa di correggere le aree carenti.
Inoltre, stiamo diventando man mano e spesso dolorosamente, consapevoli del fatto che questa costellazione di teorie e pratiche appartenga ad un giovane di altri tempi. La tradizione sembra meno importante, e nelle condizioni attuali di cambiamenti globali accelerati, sembra inadeguata. Facciamo risalire questa tradizione al periodo dell’Illuminismo occidentale, che consiste nella celebrazione della mente dell’individuo, la capacità di ognuno di pensiero e giudizio autonomo, che forniva un fondamento logico per la liberazione dal controllo assoluto della Chiesa e dello Stato. Nel processo di sviluppo del modernismo occidentale, la celebrazione della mente dell’individuo ha proceduto contestualmente alla ricerca della libertà, della giustizia e della democrazia.
A questo punto, perché cercare alternative? Non siamo dove dovremmo essere, e non dovrebbe la nostra tradizione essere condivisa globalmente? Per molti la sofferenza inizia con la realizzazione del mondo che creiamo quando celebriamo la mente dell’individuo. Quando crediamo che la mente individuale sia la realtà primaria, creiamo un abisso fra l’individuo e gli altri. Vediamo noi stessi come individui che vivono all’interno dei propri mondi isolati. “Io sono qui e tu sei lì.” Non potremo mai sapere quello che passa nella mente degli altri, dietro la maschera degli occhi, perciò non potremo fidarci pienamente delle azioni degli altri. Quindi il nostro compito principale è quello di “prenderci cura del number one”. Secondo questa visione del mondo, i rapporti interpersonali sono artificiali e secondari, vanno ricercati fondamentalmente quando possono essere utili per gli scopi del singolo. Credere nella supremazia della mente del singolo incoraggia una cultura di solitudine, sfiducia ed antagonismo. E quando l’individuo viene prima di tutto, i rapporti interpersonali e la partecipazione alla vita della comunità deteriorano entrambi.
Questi dubbi sul punto di vista individualistico fanno da complemento ad un crescente numero di studenti che esplorano le basi comuni della conoscenza e della ragione. In questo caso l’eredità cartesiana del pensatore solitario è fortemente voluta. Pensiamo semplicemente che se ci accingessimo ad eliminare dalla mente umana tutti i concetti e le logiche fornite dalla cultura, che cosa resterebbe di significativo? Nell’isolamento, potrei pensare ai temi della moralità, della giustizia, o ai costi e ai benefici dei vari corsi d’azione senza un corpus di concetti e logiche fornitemi dai rapporti con gli altri? “Ragionare bene” non è mantenersi fuori dai rapporti interpersonali per un “momento privato”, ma partecipare pienamente ad essi.
Questa modalità di pensiero è ancora diffusa tra gli studenti, rivelando la dipendenza della conoscenza dai comuni e condivisi valori ed intendimenti. Da questo punto di vista, lo scienziato non lavora mai veramente da solo; lui (o lei) viene preparato dalla comunità grazie alla quale avvengono le scoperte tramite l’osservazione. Quella che riteniamo la conoscenza non è tanto uno specchio del “mondo com’è”, ma il risultato di un tentativo interpretativo della comunità di realizzare i suoi valori dentro certi contesti. La conoscenza medica dell’Occidente, per esempio, non è tanto “vera” come è funzionale in termini di valori e credenze occidentali. La medicina occidentale rappresenta prima di tutto il progresso all’interno del sistema concettuale condiviso o diffuso dalla cultura occidentale. Allora, la conoscenza scaturisce dalle comunità e non dalle menti individuali dei suoi partecipanti.
Le implicazioni di questa nascente coscienza dell’istruzione sono profonde. La nostra attenzione prima di tutto si sposta dalla mente dei singoli studenti alle tipologie di rapporti interpersonali fuori dai quali la conoscenza vitale può emergere. Inoltre, ci siamo sensibilizzati alle differenze della comunità ed ai modi in cui la conoscenza in un individuo può essere disfunzionale senza l’altro. Cominciamo a chiederci di chi sono le voci presenti in ogni processo che produce conoscenza e di chi sono le voci assenti o silenziose. E siamo attenti ai problemi creati dai campi tradizionali della conoscenza. Le distinte discipline della biologia, della letteratura e dell’arte, per esempio, non vengono definite dal “modo in cui il mondo è”, ma riflettono le diverse tradizioni della comunità. Quando queste comunità cesseranno di comunicare tra loro, o anche con molte delle comunità che compongono la società, il risultato sarà un isolamento doloroso.
Dialoghi su argomenti di questo genere stanno anche diventando sempre più di centrale interesse nella sfera educativa. Il lavoro di un leader educativo, Jerome Bruner, fornisce un’interessante “segnalatore del tempo”. Negli anni Settanta il lavoro di Bruner contribuì fortemente a stimolare il movimento cognitivo nell’istruzione; in esso il tema della ragione del singolo era centrale. Nel suo lavoro più recente, “La Cultura dell’Istruzione”, Bruner indica che la via verso la conoscenza deriva da una “sotto-comunità in interazione”. Questo cambiamento di sensibilità è altresì evidente in una pletora di recenti pubblicazioni sul significato del dialogo nell’educazione, sulla cognizione distribuita socialmente e sulla costituzione sociale delle classi scolastiche. Anche le pagine di “Education Canada” si sono dimostrate particolarmente sensibili verso questi temi, elaborando per esempio articoli sull’istruzione dei diritti di cittadinanza, sul tele-apprendimento, sull’apprendistato, sulla politica del curriculum, e altro.
Credo che queste riflessioni sull’istruzione costituiscano un significativo contrappunto ai movimenti che si muovono velocemente attraverso la cultura, se non addirittura attraverso il mondo. In parte a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche del secolo passato, ci siamo messi in contatto con un crescente numero di persone, provenienti da differenti luoghi e per diversi scopi. Dovunque c’è una forte necessità di collaborazione, di lavoro di squadra, di rete e negoziazione. Vengono richiesti continui adeguamenti ad un mare di significati e materiale in continuo cambiamento. Nella sfera organizzativa, per esempio, questa fiducia nei rapporti interpersonali si riflette in movimenti da strutture gerarchiche a strutture piatte e nella crescente fiducia nelle squadre che funzionano in modo incrociato per decisioni vitali. Il cambiamento verso la costruzione collaborativa è imperniato sul drammatico ondeggiare delle organizzazioni virtuali ed i momenti volontari internazionali (NGOs). Ed è da tali capacità alle relazioni interpersonali coordinate che dipendono i movimenti ecumenici, le organizzazioni geo-politiche (come la Comunità Europea) ed i team di ricerca scientifica. La dimensione relazionale nell’istruzione è essenziale se le scuole e le università devono essere adeguate alle profonde trasformazioni del mondo in senso più ampio.
PARLANDO PRATICAMENTE
Le discussioni teoriche sui processi relazionali rilevanti per i nostri tempi sono un buon inizio. L’ultima questione è se tali discussioni possano fare la differenza in pratica. Dal mio punto di vista esiste già un movimento significativo nel dominio della pedagogia. Si manifesta in svariate forme, e quando queste si vedono insieme iniziamo a scorgere un modello dal quale potremo trarre nutrimento per il futuro. Lasciatemi parlare di tre domini significativi in una chiave relazionale.
Dal monologo al dialogo
Esiste una lunga storia riguardante la pedagogia del monologo secondo la quale l’insegnante si comporta come un alto prelato e gli studenti come i supplicanti. In termini di dialoghi correnti, forse è “La pedagogia dell’oppresso” di Friere che è servita come maggiore stimolo all’innovazione. Istruiti dalla sensibilità critica di Friere alle ideologie ed ai valori portati da ogni forma di conoscenza disciplinare, gli insegnanti a qualsiasi livello hanno prodotto i mezzi per mettere in dubbio le singolari autorità ed hanno aperto le classi alla piena partecipazione. La pedagogia critica ora siede accanto ad una varietà di forme meno politicizzate di collaborazione di classe. Per esempio, nella sua opera, Apprendimento collaborativo, Kenneth Bruffee descrive una varietà di esercizi designati ad elevare al massimo grado l’espressione e l’interscambio dello studente. Le istituzioni come la Sudbury School hanno coinvolto gli studenti in qualsiasi cosa dalla forma del curriculum a decisioni di condotta; Patricia Lather sfida i suoi studenti a scrivere in stili molteplici per spettatori e finalità diverse; il novellista Ken Kesey ed i suoi studenti sono andati così lontano da scrivere e pubblicare un romanzo collettivo. L’innovazione della collaborazione è in fermento ovunque.
Dalla razionalità isolata alla razionalità relazionale
Per la tradizione individualista esisteva una netta divisione fra il ruolo dell’insegnante e quello dello studente. Il primo doveva fornire le migliori informazioni e capacità d’osservazione disponibili, mentre il lavoro del secondo era approfondire queste informazioni. L’insuccesso dello studente era convenzionalmente attribuito alla mancanza da parte dello studente stesso delle capacità, delle attitudini e delle motivazioni. Nei decenni recenti siamo mano a mano giunti a comprendere che il lavoro effettivo dello studente è il risultato di una collaborazione. Il fulcro centrale della collaborazione risiede certamente fra l’insegnante e lo studente. Qui numeri crescenti escono a dimostrare il punto di vista di Lev Vygotsky secondo il quale non c’è nulla nella mente che non sia prima nella cultura, e il significato di una stretta, sensibile e centrata relazione tra insegnante e studente. Per molti ciò significa una sofisticata forma di tirocinio. Lo specialista della comunicazione William Rawlins sostieneche l’istruzione maggiormente efficace nasca da una relazione di amicizia fra insegnante e studente.
Inoltre, non è solamente il rapporto dello studente con l’insegnante che è importante. Gli allievi e gli insegnanti vengono attratti in modo crescente dai rapporti interpersonali, (amicizia, interazioni nei gruppi, antagonismo razziale ed economico), che si evincono dai lavori dello studente. Più ampiamente, molti pedagogisti hanno puntato l’attenzione sul più ampio contesto sociale dell’istruzione. Comprendiamo in maniera crescente l’importanza della povertà, dell’etnicità, e della composizione della famiglia, per esempio, nella formazione del lavoro dello studente. L’attività di un individuo è solo la manifestazione di un ampio network di relazioni. Uno studente non ce la fa mai da solo né fallisce da solo.
Dai curricula ai criteri culturali
Secondo la tradizione individualista, il lavoro di uno studente viene valutato in base a standard di un programma di studi fisso. La logica ed il contenuto del programma, predisposto in assenza dello studente, stabilisce ciò che conta come “conoscenza importante”. Con una crescente sensibilità verso il contesto relazionale, iniziamo a vedere i limiti di un programma di studi basato sull’individuo e la disciplina. Sempre più vediamo le mura delle classi come barriere artificiali tra il processo educativo e culturale. Le nostre attività nel mondo vengono raramente incasellate in pacchetti disciplinari, né la ragione effettiva è mai slegata da contesti spesso complessi. “L’istruzione situata” è essenziale. È in questa prospettiva che potremmo apprezzare gli sforzi innovativi di molti insegnanti che creano dei legami fra le classi ed il contesto culturale. Per esempio, gli esercizi di “valutazione autentica”, nei quali gli studenti lavorano insieme per risolvere problemi complessi nell’ambiente esterno e comunicano i loro risultati ad un pubblico diverso da quello degli insegnanti, stanno gradualmente trovando una loro maturazione. Più ampiamente visibili sono i programmi universitari nel servizio dell’apprendimento; in questo caso l’impegno della comunità serve da matrice educativa. Più sottilmente ma persuasivamente, gli educatori mandano in maniera crescente i loro studenti ad esplorare il Web mondiale per avere prospettive molteplici su un tema assegnato. Alla Rice University il laboratorio di insegnamento Gardiner Symonds non fornisce leggii o scrivanie per gli insegnanti. Piuttosto troviamo molti computers, sedie girevoli per studenti ed insegnanti, e tre pareti provviste di pannelli sui quali ogni computer può proiettare i suoi contenuti, insieme a materiale video e CD Rom. La classe può lavorare virtualmente e simultaneamente in ogni parte del mondo.
IMPEDIMENTI ED INVITI
La mia speranza è che si possa individuare tra i frammenti del cambiamento educativo un modello emergente, e che si possa porre questo modello all’interno di una più ampia trasformazione di significato culturale – se non globale. Allo stesso tempo credo che siamo appena arrivati al punto di partenza. Secondo la mia opinione la vasta parte dell’esercizio educativo rimane collocata all’interno della tradizione individualista. Tra i più forti impedimenti al cambio relazionale ci sono i collegati impegni verso la valutazione individuale e la responsabilità standardizzata. Per varie ragioni, buone e cattive, gli insegnanti sono vicini ai genitori ed anche agli studenti nel desiderio di sapere dove si colloca l’attività di ogni individuo in confronto agli altri. L’ideologia individualista è così forte come è penetrante. Gli investimenti nella valutazione individuale si intensificano, comunque, se si pensa che sono collegati agli esami di valutazione standardizzati. Quando vince la visione secondo cui la ragione e la conoscenza sono universali, trascendendo da ogni bisogno e valore della comunità, si arriva ad brutale competizione fra studenti, scuola, regioni e nazioni.
Concludo con un aneddoto personale, in parte per sottolineare il bisogno di un impegno dalle salde radici nella sfida relazionale ed in parte per riflettere sulle sue potenzialità. Spinta dalla sfida del relazionismo, ho compiuto un esperimento sostituendo la composizione scritta con il dialogo. In questo caso gli studenti lavorano in piccoli gruppi su un argomento collegato al materiale del corso. Ogni studente contribuisce ad una serie di scambi via mail. Il voto si basa sulla qualità del dialogo, se le parole di uno arricchiscono quelle dell’altro, informano il gruppo, e portano il dialogo verso nuove direzioni. Secondo la mia esperienza gli studenti amano questo processo e ne sperimentano significativi benefici. Inoltre, credo di aver imparato anch’io dalla discussione che è nata. Comunque, nonostante io abbia valutato il dialogo nel suo insieme, gli studenti hanno insistito nell’avere un voto personale corrispondente al loro personale contributo. Ho esitato, riflettuto ed alla fine ho capitolato ai loro desideri. Forse le innovazioni sono migliori quando portano con sé residui di tradizione.
La discussione rimane aperta…